Il ragazzone alto squadrò il giocatore che doveva marcare. Era un tipo peculiare, con dei basettoni vistosi, i calzettoni abbassati, e il fare indolente in campo tipico di quei giocatori, le ali destre, famose per i loro vezzi e le loro bizze, in campo e fuori. Visto così, trasandato e con l’aria supponente, sembrava proprio il contrario di lui, che era invece alto e solido come un grattacielo, e dall’aspetto pulito e quasi austero, con quel volto serio e i capelli con la riga laterale, senza alcuna concessione alla fantasia.
I loro sguardi si incontrarono per un attimo, un secondo prima del fischio d’inizio: un cenno d’intesa per il terzino sinistro, un sorriso strafottente per l’ala destra. Partirono.
Il gioco era iniziato senza particolari entusiasmi, con la palla che girava veloce per il centrocampo, senza però tradire la minima intenzione nell’andare avanti o dietro, verso una delle due aree. I mediani continuavano a passarsela lateralmente, una serie infinita di tocchi lenti e precisi, in attesa dell’idea di qualcuno. D’un tratto però la palla arrivò all’ala destra, a quel capellone dalle basette vistose e con i calzettoni abbassati. Il calciatore sorrise, si portò avanti la sfera col destro, e alzò subito lo sguardo alla ricerca del suo avversario naturale in campo, il terzino sinistro. Il ragazzone alto stava proprio davanti a lui, aspettandolo. Intuizione geniale, pallone che sembrava andare verso l’interno, gioco d’anca e di caviglia, e improvviso cambio di direzione della sfera, verso l’esterno. Il terzino aveva abboccato in pieno, il centrocampista l’aveva lasciato sul posto. Ma era un tipo caparbio, di quelli che a volte possono sbagliare, farsi fregare, ma non si arrendono mai, e con quelle prodigiose leve di cui era dotato, ad ampi passi raggiunge subito il suo avversario, braccandolo nuovamente.
Erano ormai al limite dell’area, e l’ala aveva la possibilità per crossare comodamente dalla trequarti per il suo centravanti, ma vedendo il ritorno del suo marcatore si era fermato, come a volere aspettarlo, e poterlo sfidare ancora. Si fronteggiarono nuovamente, mentre dalla panchina l’allenatore del centrocampista imprecava per l’arroganza del suo giocatore. Questa volta il terzino alto e secco non aspettò che l’ala facesse uno dei suoi giochetti, e gli andò subito sotto, cercando di rubargli la palla. Ma in qualche modo il centrocampista se l’aspettava, e spostando il pallone con due rapidi tocchi, saltò nuovamente il terzino, si accentrò portandosi la sfera sul sinistro, e con un colpo secco e preciso tirò, colpendo perfettamente l’angolo basso della porta.
Il terzino alto e con gli austeri capelli con la riga lo guardò con il suo sguardo severo mentre festeggiava. Il gioco riprese.
Il resto della partita fu abbastanza noioso: i giocatori si conoscevano ancora poco, i ritmi erano blandi, e anche se si cercava di vincere o di rimontare le cadenze di gioco non erano particolarmente alte. E soprattutto la palla non arrivava all’ala destra, e non si poteva quindi riproporre quell’interessante duello tra lui e il suo marcatore, quel meraviglioso balletto di cui solo loro due conoscevano i passi.
Si arrivò quindi quasi alla fine della partita, senza che i due si potessero incrociare nuovamente, quand’ecco che il libero della squadra del terzino alto e dinoccolato, Gaetano, si impossessò della sfera, la passò a questi, che subito lasciò la sua area, e si spinse in avanti palla al piede. Questa volta era lui ad attaccare, e l’ala a doverlo fermare.
Il terzino puntò il centrocampista, senza avere la sua classe ma con una volontà e una caparbietà ferrea e decisa. Ma aveva solo fintato il dribbling, e passò invece la palla al suo capitano, Valentino, che la fece filtrare in avanti per Giuseppe, la loro mezzala, che subito la rimise sulla fascia sinistra per il terzino, che era salito in avanti, potente e preciso come un treno. Era ormai al limite dell’area, con tutto lo specchio della porta davanti a sé. Tirò, ed esplose un sinistro fino all’incrocio. L’ala destra era rimasta indietro, calzettoni abbassati, mani sui fianchi, ma un sorriso sempre sicuro su quella faccia strafottente. Capiva che in qualche modo da lì in avanti si sarebbe divertito parecchio, con quell’avversari.
L’arbitro fischiò tre volte e la partita finì, uno a uno, gol di due che per ruolo e nome non potevano che essere rivali, lassù.
Uscirono tutti i giocatori dal campo, il terzino sinistro e l’ala destra abbracciati, perché la partita era finita e due come loro potevano essere nemici solo per novanta minuti. Si salutarono con un sorriso sbieco il centrocampista, e un serio cenno d’intesa il difensore.
A quest’ultimo si avvicinò un ometto canuto dalla faccia furba e dalle sopracciglie nere.
- Porco diavolo! È davvero un gran giocatore quel George Best, eh, Giacinto?
Il ragazzone alto ed elegante annuì con il capo.
- Gran giocatore sì Peppino. Ma credo che avrò un sacco di tempo per prendergli le misure, d’ora in avanti.
Sorrisero entrambi, mentre il loro cielo azzurro diventava pian piano più scuro, fino a striarsi di nero.
martedì 4 settembre 2007
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1 commento:
Bel pezzo, e bella la citazione di Bernardini (che si riferiva al Bolgona dello scudetto)
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