Sono una persona razionale. Così ho sempre risposto, a chi mi chiedeva della mia passione per un calciatore, Luis Figo, da qualche tempo sul viale del tramonto, e che fino a qualche mese fa sembrava in procinto di passare all'Al Qaeda, dedicandosi al terrorismo di matrice islamica. Uno che è difficile da apprezzare come calciatore e uomo simbolo di una squadra, vista la facilità disarmante con cui ha sempre firmato contratti con diverse squadre allo stesso tempo, o passando magari da una formazione alla rivale numero uno della stessa. Uno che non sarà mai una bandiera, e che spesso è stato allettato più dai soldi, che dai colori di una squadra. Uno come Christian Vieri insomma.
Ma in fondo queste sono inezie, e io non sono una persona incapace di perdonare, tutt'altro. Ad esempio, ora che m'è sbollita la rabbia del momento, a Vieri penso di potere perdonare tutto, anche che sgualcisca la mia giacca di pelle preferita tentando di difendersi dai colpi di piede di porco, nel caso l'incontrassi in giro. E già in passato ho dato spesso prova di capacità di perdonare e dimenticare, tipo quando aiutai un amico che si era messo con una mia ex a scoprire chi fosse stato il malvagio individuo che gli aveva pisciato in macchina, dal finestrino abbassato (purtroppo questo individuo non si trovò mai).
E razionalmente, io capisco che il modus vivendi di Figo, anche se non decisamente etico, può essere riportato facilmente alla voce "professionalità". Si versa una certa quota di denaro, per potere accedere ad un servizio. Non mi chiamo Candido e non credo di vivere nel migliore dei mondi possibili, e già da tempo ho abbandonato le fantasticherie romantiche di gioventù, tuffandomi in un pragmatismo che non sarà glorioso, ma è assolutamente in tinta col mondo in cui viviamo.
Figo non sarà mai un simbolo dell'Inter, squadra a cui non è legato da una storia, ma da un contratto. Però quel contratto l'ha sempre onorato, lottando con un'età che non è più verde, e una rassomiglianza con Luca Laurenti che di certo, specie nelle prime fasi della carriera, l'ha penalizzato. E a un mercenario che rispetta quanto pattuito, non si darà magari amore, ma ci si riempie della soddisfazione tipica di chi ha scelto la persona giusta, per il lavoro giusto.
Del resto è forse vero che "professionista" è anche un arzigogolato artifizio retorico per chiamare una prostituta, ma è anche vero che l'errore, etica a parte, in una situazione del genere è pretendere il sentimento, non il servizio.
Figo è un professionista, e nel suo ruolo (uomo saltato, cross dal fondo, scarpe bianche dal contatto con la linea laterale, e tra l'altro senza che a bordocampo ci siano Kate Moss o Lapo Elkann) è ancora, nonostante un'età che sembrerebbe più da Milan, uno dei migliori al mondo. Uno che a fine mese il suo sostanziosissimo stipendio lo vuole, ma se lo suda tutto. Uno che nonostante il catetere riesce a crossare parabole che manco il figliol prodigo e i dieci talenti.
Meglio insomma uno così, un mercenario se si vuol essere cattivi, o un professionista se si vuole essere buoni, piuttosto che uno che giura fedeltà eterna, centravanti baciamaglia, o uno che reputa il presidente come un secondo padre. Almeno le regole sono chiare, limpide, cristalline, e si evitano le brutte sorprese: sai che è lì solo per soldi, non per sentimenti indimostrabili.
Del resto ad uscire con una maiala non solo ci si diverte di più, ma si evitano pure gli imbarazzi dello scoprire che sulla testa hai un branco di renne.
Viva Figo, dunque. Non sarà commovente, non sarà legato alla squadra, e avrà sempre ragionato più col portafogli che con la testa. Ma quando arriva sulla trequarti, alza la testa, vede il capoccione del centravanti, e disegna curve perfette sopra l'area, non ci si può che inchinare. Del resto, anche per le maiale è la stessa identica cosa: una mera, semplice, questione di curve.